L’ATTITUDINE
DEL CONIUGE AL LAVORO ED IL RICONOSCIMENTO DELL’ASSEGNO AL MANTENIMENTO
di Avv.
Arianna Tornaghi
Una
recente ordinanza della Corte di Cassazione, risalente al 9 marzo 2018, numero
5817, è tornata ad occuparsi della questione relativa al diritto all’assegno di
mantenimento del coniuge, rapportato alla sussistenza dell’attitudine
professionale dello stesso e di eventuali opportunità di lavoro rifiutate
immotivatamente.
La
questione, cui la giurisprudenza di legittimità e di merito è stata più volte
investita, è stata, come noto, proposta ed affrontata, altresì con riferimento
al figlio maggiorenne non economicamente indipendente.
L’argomento
di discussione inerisce naturalmente il diritto del coniuge di ottenere -o di
mantenere- l’assegno di mantenimento stabilito (o da stabilire) in sede
separativa, da valutare ed indagare, in punto di an
e quantum, prendendo in considerazione determinati elementi, tra cui
anche l’effettiva capacità lavorativa del beneficiario e l’eventuale esistenza
di effettive proposte economiche o occasioni professionali.
In
altro articolo, si è visto ed analizzato come l’impossibilità, per motivi di
salute, di età, ovvero inerenti il
mercato del lavoro odierno, di procurarsi una fonte di reddito, rappresenti un
motivo ostativo ad un’eventuale revisione in pejus
dell’assegno di divorzio a favore del coniuge, e, dunque, è una circostanza da
leggersi quale elemento da esaminare nella valutazione di quel criterio di
autosufficienza economica recentemente affermato dalla Corte di
Cassazione.
Invero,
nel caso sottoposto al decisum dei Giudici di
legittimità, ci troviamo nel campo della separazione personale dei coniugi;
ora, come noto, l’assegno di mantenimento stabilito a favore del coniuge in
sede di separazione, ha connotati, natura e struttura, ontologicamente e
teologicamente diversi, rispetto a quello di divorzio, dotato invece di
carattere assistenziale e funzione
solidaristica.
L’appena
citata differenza, del resto, riverbera la distinzione intercorrente tra
istituto della separazione, che, almeno nelle intenzioni del legislatore,
dovrebbe rappresentare un momento intermedio o, per così di temporanea
riflessione, in cui sì i doveri coniugali personali scaturenti dal coniugio
sono sospesi (si pensi soltanto all’obbligo di fedeltà), permanendo però l’esistenza
di altri obblighi, quale quello di mantenimento e assistenza per il coniuge più
debole, che ha diritto a mantenere il medesimo tenore di vita goduto in
costanza di quel vincolo che ancora non è spirato; diversa, invece, la fase del
divorzio, istituto che postula una recisione dello status di coniuge,
con ciò che ne consegue anche da un punto di vista economico.
Al
riguardo, giova ricordare che le condizioni affinché possa sorgere il diritto
al mantenimento in favore del coniuge, ai sensi dell’articolo 156 c.c.,
riguardano la non addebitabilità della separazione e
il non possedere, in potenza ed in atto, redditi tali da consentire al
richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza
di coniugio; è pacifico che, nel valutare tale presupposto, il giudice debba
tenere conto di ogni tipo di reddito nella disponibilità dell’eventuale
beneficiario, ivi compresi quelli derivanti, ad esempio, da elargizioni da
parte dei famigliari, così come redditi derivanti da locazioni di immobili, che
esistevano manente matrimonio e che si
protraggano in maniera costante anche in sede separativa.
Oltre
ciò, il Giudicante dovrà valutare, tra le altre cose, in seno all’indagine
sulle complessiva situazione economica dei coniugi durante il matrimonio,
rapportata al tenore di vita nello stesso goduto, anche le effettive
potenzialità di lavoro esistenti concretamente in capo al richiedente, intese
quale attitudine al lavoro e capacità effettiva di guadagno.
Al
riguardo, non ci si può esimere pure ricordare la lettera dell’articolo 156
c.c.: “…Il giudice, pronunziando la
separazione stabilisce a vantaggio del coniuge cui non addebitabile la
separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al
suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di
tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi
dell’obbligato”.
E’ sin
da subito necessario sottolineare come tale valutazione vada svolta dall’interprete
riferendosi a “ogni fattore individuale ed ambientale” senza limitarsi a
prendere in considerazione “mere valutazioni astratte ed ipotetiche” (Cassazione,
ordinanza numero del 179721, del 27.07.2017).
Ad ogni
modo, nella fattispecie che ci occupa, la Corte di legittimità ha confermato la
legittimità e la correttezza dell’iter argomentativo della Corte d’appello
territorialmente competente che aveva negato, confermando così la statuizione
in primo grado, l’assegno di mantenimento alla moglie richiedente, in ragione
del fatto che la stessa avesse rifiutato alcune offerte di lavoro, senza
addurne un valido motivo.
Nello
specifico, e lasciando parlare il pronunciamento in parola, i Giudici di
legittimità precisano anzitutto che “la ricorrente aveva ammesso di avere
rifiutato varie proposte di lavoro, di cui aveva peraltro allegato la
strumentalità, per non essere stati i colloqui finalizzati a vere assunzioni”. Inoltre,
la Corte di Cassazione, con riferimento alla presunta violazione, allegata
dalla ricorrente, dell’articolo 156 c.c., specifica, rigettandone le doglianze,
che il motivo “è manifestamente infondato in relazione all’articolo 156
c.c., perché, in tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al
lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno,
costituisce elemento valutabile ai fini delle statuizioni afferenti l’assegno
di mantenimento; tale attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso
rilievo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento
di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto
fattore individuale ed ambientale, e con esclusione di mere valutazioni
astratte ed ipotetiche”.
Come si
vede, viene posto l’accento sulla effettiva e concreta attitudine a procurarsi
il reddito, ovvero a reperire un’occupazione lavorativa; l’indagine del
Giudicante, dunque, dovrà tenere conto, delle reali possibilità offerte dal
mondo del lavoro attuale al coniuge richiedente, non omettendo di considerare
alcuni fattori che potrebbero rivelarsi determinanti, quali lo stato di salute
e l’età dell’eventuale beneficiario; infatti, prosegue la Cassazione “l’impugnata
sentenza ha escluso il diritto al mantenimento sul rilievo di essere stata la
ricorrente ben in grado di procurarsi redditi adeguati, stante la pacifica
esistenza di proposte di lavoro, le quali proposte immotivatamente non erano
state accettate”.
Sulla
scorta di tali motivazioni, in fatto e in diritto, è stata ritenuta legittima
la decisione della Corte d’Appello tesa ad escludere il mantenimento alla
donna, la quale, nonostante la sua abilità al lavoro e la sussistenza di
proposte di assunzione, abbia frapposto un immotivato rifiuto.
D’altronde,
l’ordinanza di cui trattasi si colloca all’interno di un sentiero già tracciato,
come si diceva all’inizio del presente lavoro, dalla giurisprudenza di
legittimità e di merito; il principio è, come si diceva, stato stabilito anche
con riferimento al figlio maggiorenne, la cui indipendenza economica va
valutata, anche e soprattutto, con le lenti dell’effettiva possibilità e
attitudine a procurarsi un’occupazione.
Riverbera,
quale contraltare e sebbene la differenza dei titoli da cui scaturiscono gli
obblighi in parola, la rilevanza, nella valutazione di cui trattasi, dell’eventuale
inerzia del beneficiario nella ricerca di un’occupazione ovvero nel rifiuto di
proposte professionali in maniera ingiustificata.
Tra i precedenti conformi con riguardo particolare al coniuge, si cita la sentenza della Corte di Cassazione, numero 18547, del 2006, richiamata altresì nell’ordinanza del 2018, nonché la recente ordinanza della Corte di Cassazione, del 27.07.2017, numero 179721 (dove, però, viene rigettata l’istanza del marito volta ad ottenere una revoca dell’assegno di mantenimento a favore della moglie, stante la disoccupazione della stessa e l’infondatezza della censura del coniuge riguardante proprio la capacità lavorativa della consorte): il principio espresso e ribadito, tanto da potersi ritenere un cristallizzato punto fermo in materia, è, quello già indicato nella pronuncia in commento ed è il seguente: “l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termine di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche”.