I profili giuridici del rapporto tra nonni e nipoti:
brevi riflessioni
Avv. Arianna Tornaghi
Nella realtà attuale, i nonni sono una
figura di riferimento per i nipoti sotto svariati punti di vista: emotivo, affettivo,
psicologico, sociale e anche giuridico; inutile dire, in aggiunta, che nella
pratica quotidiana di molti nuclei famigliari, sono proprio i nonni i veri
pilastri a cui spesso è demandata una concorrenza nell’educazione, nell’istruzione
e nella gestione quotidiana della prole.
Quali sono, allo stato, i diritti e i
doveri di queste figure famigliari?
Il riconoscimento e la tutela del
legame affettivo tra nonni e nipoti
Anzitutto, è bene evidenziare che i nipoti
hanno il diritto di mantenere e coltivare i rapporti con gli ascendenti, di
ambedue i rami genitoriali, e l’importanza di tale concetto è stato
sottolineato e ribadito in più occasioni nella giurisprudenza remota e recente.
Occorre però prendere avvio dalla lettera
della norma che funge da primaria bussola nella materia che ci occupa.
In particolare, dopo l’ultima riforma del
diritto di famiglia e a valle dell’emanazione delle modifiche introdotte dal
Decreto Legislativo del 28.12.2013, numero 154, centrale si rivela l’articolo
317 bis c.c., rubricato “Rapporti con gli ascendenti”,
che, espressamente, recita: “Gli ascendenti hanno
diritto di mantenere rapporti
significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente a cui è impedito
questo diritto può ricorrere al
giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano
adottati i provvedimenti più idonei
nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’articolo 336
secondo comma c.c.”
Al riguardo, non ci si può esimere dal
rilevare che quanto sopra trova valore nei confronti di tutti i nipoti, indipendentemente
dal vincolo di coniugio esistente o meno tra i genitori degli stessi; la precisazione
in parola, del resto, appare necessaria, tenuto conto che, proprio nell’ultima
riforma del diritto di famiglia, le cui tracce si rivengono, come anzidetto,
anche nella materia che ci occupa, viene finalmente sancito un rapporto di
parentela che abbraccia qualsiasi forma di filiazione, in ossequio all’unicità
dello status di figlio (articolo 315 c.c: “tutti i figli hanno lo stesso
stato giuridico”).
Come si vede, nell’articolo 317 bis c.c.,
il legislatore utilizza l’espressione “mantenere rapporti significativi”
per descrivere il diritto degli ascendenti nei confronti dei nipoti, nonché l’autonoma posizione giuridica e processuale in capo
agli stessi, in caso di lesione di tale diritto.
Ma che cosa si intende con la formula “mantenere rapporti significativi”?
Anzitutto, si osserva che il legislatore ha
deciso di non prevedere un vero e proprio diritto di visita e di frequentazione
tra nonni e nipoti come quello esistente tra genitori e figli.
A parere di chi scrive, la scelta lessicale
caduta sul verbo “mantenere”
è un chiaro richiamo alle eventuali situazioni patologiche che possono
abbattersi sul nucleo famigliare (a titolo esemplificativo: la separazione
legale dei coniugi).
E’ evidente, infatti, che la questione dei
rapporti tra nonni e nipoti si pone, nella prassi, con particolare frequenza,
ed intensità, seppur non con esclusività, nella fase patologica del rapporto tra
i due genitori.
Ma non solo.
Dizionario alla mano, il termine mantenere
viene definito con le seguenti parole: “… tenere una cosa in modo che duri
a lungo, rimanga in essere e in efficienza..” (Treccani, Dizionario on Line).
Calato nel contesto in esame, mantenere
assume i connotati di conservare, tenere saldo ed in qualche modo tutelare, il
rapporto in parola, con riferimento dunque al diritto dei nonni di coltivare un
legame continuativo nella vita dei minori, con una presenza significativa nella crescita degli stessi, anche in una
vita famigliare che sia, per così dire, ‘fisiologica’.
Ed ancora, non si può sottacere, ed appare
anzi eloquente a sostegno di quella d continuatività sopra
descritta, che il verbo di cui sopra, sia il medesimo utilizzato nell’articolo
315 bis c.c. che postula, tra i diritti della prole, quello di “crescere in famiglia e di mantenere rapporti
significativi con i parenti”.
Inoltre, con riguardo al richiamo alla fase
patologica del rapporto tra genitori, occorre fare riferimento all’articolo 337
ter c.c. che, al primo comma, recita: “il figlio minore ha il diritto di
mantenere un rapporto equilibrato e
continuativo con ciascuno dei genitori e … di conservare
rapporti significativi con gli
ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
Scorrendo la giurisprudenza collegata all’articolo
appena citato, non è difficile porre l’accento sulla circostanza secondo cui l’interesse
del minore sarà sempre il nucleo centrale tenuto in considerazione e il faro
che ha guidato le varie decisioni in materia.
Al riguardo, tra le tante, valga citare una
recente pronuncia della Corte di Cassazione (ordinanza numero 15238, del
15.05.2018-12.06.2018, RV 649149), nella quale è stato ribadito che il disposto
di cui all’articolo 317 bis c.c. non ha carattere incondizionato, ma subordina
l’esercizio ad un’analisi scrupolosa del giudice avente ad oggetto l’interesse
esclusivo del minore.
In particolare, la Cassazione, si è
pronunciata in questa sede sul ricorso, articolato in due motivi, proposto da
un nonno, avverso il decreto della Corte d’Appello territorialmente competente
che aveva negato di consentirgli la frequentazione, quanto meno in via
protetta, negando, a dire dello stesso, “valore
alla relazione affettiva esistente” con i nipoti, “abdicando alla funzione di
mediazione spettante al giudice in
materia famigliare e legittimando le condotte ostative dei
genitori …”.
Precisano i Giudici di legittimità, nel
dichiarare l’infondatezza dei motivi di ricorso, che: “l’articolo 317 bis cod. civ., nel riconoscere agli
ascendenti un vero e proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i
nipoti minorenni, non attribuisce allo stesso un carattere incondizionato, ma
ne subordina l’esercizio e la tutela, a fronte di connotazioni o comportamenti
ostativi di uno o entrambi i genitori, ad una valutazione del giudice avente di
mira “l’esclusivo interesse del minore”, ovverosia la realizzazione di un
progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato
sviluppo della personalità del minore, nell’ambito del quale possa trovare
spazio anche un’attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del
coinvolgimento nella sfera relazionale ed affettiva del nipote…”.
E, nella fattispecie sottoposta all’attenzione della Cassazione, tale suddescritto
coinvolgimento, era stato escluso dalla Corte territoriale con una forte motivazione, tenuto conto “dell’accertata riluttanza dei nipoti ad intrattenere
relazioni con il nonno materno, in conseguenza dell’impressione negativa
suscitata dal comportamento inopportuno ed inquietante di quest’ultimo, solito
appostarsi nei luoghi da loro frequentati e seguirli con l’autovettura, nonché
dell’incapacità, in tal modo manifestata dal ricorrente, di cogliere il disagio
dei minori e di fare prevalere il loro bisogno di serenità sulla propria
esigenza d’interessarsi alla loro vita quotidiana”.
Visti i richiami alla giurisprudenza
comunitaria svolti dal ricorrente, la Corte nomofilattica
ha pure evidenziato che altresì la CEDU (riportando alcune sentenze come
riferimento), ha manifestato il principio secondo cui la riunione tra genitori
e figli non è assoluto, dovendo sempre tenere presente gli interessi, i diritti
e le libertà delle persone coinvolte nelle singole e varie vicende, “in particolare degli interessi del
minore e dei diritti conferiti allo stesso dall’articolo 8 della
Convenzione”.
Quando il mantenimento dei minori
grava sugli ascendenti
La domanda che spesso gli addetti ai lavori
si vedono porsi, in seno alla questione che ci occupa, inerisce l’eventuale
obbligo di mantenimento, ovvero eventualmente alimentare, gravante in capo ai
nonni a favore dei nipoti.
Anzitutto, è bene sottolineare che non v’è
direttamente e, per così dire, in prima battuta, alcun obbligo per i nonni di
farsi carico del mantenimento dei nipoti.
Tale dovere spetta, e al riguardo si
ritiene utile fare ricorso agli avverbi utilizzati nelle pronunzie reperite in
materia, “primariamente ed integralmente”
ai discendenti (Cass. Civ. sentenza numero 20509, del 30 settembre 2010,
RV614311-01[1]).
Ciò è del resto quanto espressamente
cristallizzato nella lettera della legge.
In particolare, negli articoli 147 e 148
c.c.[2]
Con specifico riferimento a tale ultimo articolo, occorre dar conto della
recente modifica legislativa che, con l’articolo 4 del D. Lvo
28.12.2013, numero 154, ne ha modificato il testo previgente, eliminandone
tutti i commi e modificandone il primo.
Viene però in soccorso e alla luce, fornendo
humus normativo
alla questione in esame, l’articolo 316 bis c.c., cui rimanda l’odierno testo
dell’articolo 148 c.c. e che, rubricato “concorso
nel mantenimento”, così,
al primo comma, recita: “i genitori devono adempiere ai
propri obblighi nei confronti dei figli in proporzione
alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro
professionale e casalingo. Quando i
genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in
ordine di prossimità, sono tenuti a
fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano
adempiere i loro doveri nei
confronti dei figli”[3]
.
Questa norma dovrà essere tenuta presente,
rivestendo essa (così come precedentemente e ratione
temporis l’articolo 148, secondo comma, c.c.), un
ruolo centrale nella materia ma anche nella questione di cui si sta scrivendo.
Procedendo con l’analisi, si evidenzia che,
se l’articolo 147 c.c. impone ad ambo i genitori di mantenere la prole per il
solo fatto di averla generata, indipendentemente da qualsivoglia eventuale
vicenda intercorrente tra di essi, non si può dire che un equipollente dovere
penda, normativamente, sulle figure degli ascendenti.
E ciò è del resto evidente, considerato
quanto sopra descritto in ordine al loro ruolo e alle recenti modifiche normative
sul punto intervenute.
Da ciò
consegue -e i provvedimenti giurisprudenziali esaminati al riguardo lo
confermano- che se uno dei due genitori non possa o non voglia adempiere al
proprio dovere, è soltanto l’altro, nel preminente interesse dei figli, a
doversi fare fronte delle esigenze di questi in maniera totale ed
integralmente.
E, dunque, gli ascendenti non sono mai
contemplati nel mantenimento dei nipoti?
Non è proprio così.
Esaminando la giurisprudenza in materia,
viene stabilito e ribadito che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e
quindi sussidiaria, rispetto a quella, primaria, dei genitori (Cass. civ. ordinanza
numero 10419, del 2 maggio 2018, RV 648281-01; Cass. Civ. sentenza numero
20509, del 30 settembre 2010, RV 614311-01[4]).
Cosa significa, sul piano giuridico e nella
materia che ci occupa, l’aggettivo “sussidiario
o subordinato”?
Anzitutto, è bene precisare che agli
ascendenti non ci può rivolgere per chiedere il mantenimento della prole, per
il solo fatto che uno dei due genitori sia inadempiente a tale sua
obbligazione. E’ quanto recentemente precisato, rectius
invero ribadito, dalla Corte di Cassazione, con la recente ordinanza numero
10419, del 02.05.2018, in cui si rileva, in tema di ascendenti, come non ci si
possa rivolgere per un aiuto economico agli stessi, “per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio
contributo al mantenimento dei figli, se l'altro genitore è in grado di mantenerli”
(ex multis: Cass. Civ., ordinanza numero 10419, del
02.05.2018, RV 648281-01).
Ed infatti, nella pronunzia sopra citata,
così come in altre precedenti e conformi[5],
la Cassazione è molto chiara sul punto, evidenziando che “…va inteso non solo nel senso
che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi,
sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche
nel senso che agli ascendenti non ci
possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che
uno dei genitori non dia il proprio
contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado
di mantenerli; così come il diritto
agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello stato di
bisogno e dell’impossibilità di
reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non siano in
grado di adempiere al loro diretto e
personale obbligo”.
Precedentemente, la già citata sentenza
della Suprema Corte, numero 20509, del 30.09.2010, aveva specificato come “…solo in via sussidiaria, dunque succedanea, si concretizza l’obbligo
degli ascendenti di fornire ai
genitori i mezzi necessari per adempiere al loro dovere nei confronti
dei figli previsti dall’art. 148
c.c., che comunque trova ingresso non già perché uno dei due
genitori sia rimasto inadempiente al
proprio obbligo, ma se ed in quanto l’altro genitore non abbia
mezzi per provvedervi”.
La Cassazione ha in sostanza stabilito che
i nonni ‘entrano in gioco’ soltanto in presenza dello
stato di bisogno di entrambi i genitori, e, dunque, laddove questi ultimi non
siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo.
In cosa consiste quest’obbligo? Al
riguardo, pare sufficiente sottolineare come la giurisprudenza esaminata e già
citata, risponda a tale quesito parlando di “obbligo
degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché
possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”
nei limiti ed entro i confini già definiti e altresì descritti infra.
Sia sufficiente però delineare che la
formula utilizzata dalla giurisprudenza di legittimità altro non è che un’eco
del disposto legislativo novellato di cui al già citato articolo 316 bis c.c.
che prevede, come anzidetto, che laddove i discendenti non abbiano mezzi
sufficienti, siano gli ascendenti, in ordine di prossimità, a dovere fornire ai
genitori proprio quei “mezzi necessari affinché possano
adempiere i loro doveri nei
confronti dei figli”; d’altronde, i “loro doveri nei confronti dei figli”,
altro non sono che quelli già previsti nell’articolo 147 c.c. e, dunque, di
mantenere, istruire ed educare la prole, senza dubbio, quanto meno a parere di
chi scrive, sul fatto che il contenuto dell’obbligazione residuale ed eventuale
degli ascendenti, abbracci, in questo contesto, il mantenimento e non la sola e
mera obbligazione alimentare.
Parallelamente, la stessa logica, che
potremmo definire ‘gerarchica’, è sottesa altresì all’eventuale onere di
versamento degli alimenti, ex articolo 433 e ss. c.c.; infatti, nelle pronunzie
esaminate e sopra descritte, si legge: “…così
come il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello
stato di bisogno e dell’impossibilità
di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non
siano in grado di adempiere al loro
diretto e personale obbligo”[6].
Del resto, questa lettura è pienamente ed
armonicamente confacente alla lettera e alla natura dell’articolo 433 c.c. che
specifica: “all’obbligo di prestare gli alimenti
sono tenuti, nell’ordine: ….i
genitori e, in loro mancanza, gli
ascendenti prossimi” e dell’articolo 435 c.c.: “gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e
non è in grado di provvedere al proprio mantenimento”.
In definitiva, con favore si ritiene debba
essere accolta la codificazione della necessità di una relazione affettiva
(ovvero la continuatività di tale legame anche a
valle del disgregamento dell’affectio
che lega i genitori) esistente tra le due categorie di soggetti
in esame.
E’ necessario tuttavia tenere presente che,
qualora uno dei due genitori sia inadempiente, l’altro potrà agire in giudizio
nei confronti di quest’ultimo con tutti i mezzi e in tutte le sedi che la legge
gli mette a disposizione, onde ottenere il riconoscimento di un contributo,
seppur proporzionato alle capacità reddituali dello stesso, a favore della
prole; non avendo però egli la facoltà né tantomeno il diritto di procedere,
per il solo fatto che l’altro genitore “non
possa[7] o
non voglia adempiere al proprio dovere”,
agire nei confronti dei nonni.
[1]
Nella pronuncia in parola (sentenza
Cassazione Civile, numero 20509, del 30.09.2010), si legge: “l’articolo 147 c.c., impone ai
genitori l’obbligo di mantenere i propri figli. Tale obbligo grava su di essi
in senso primario ed integrale, il che comporta che se l’uno dei due non voglia
o non possa adempiere, l’altro deve farvi fronte con tutte le sue risorse
patrimoniali e reddituali e deve sfruttare la sua capacità di lavoro, salva comunque
la possibilità di agire contro l’inadempiente per ottenere un contributo
proporzionale alle sue condizioni economiche”
[2]
Per comodità del lettore, si riportano di
seguito i testi degli articoli 147 e 148 c.c.
Articolo 147 c.c. Doveri verso i figli: “il matrimonio [naturalmente, vale lo
stesso per la convivenza] impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere,
istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro
capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo
315 bis c.c.”
Articolo 148 c.c. Concorso negli oneri: “I coniugi devono adempiere l’obbligo
di cui all’articolo 147 c.c. secondo quanto previsto dall’articolo 316 bis
c.c.”
[3] Articolo così aggiunto dall’art. 40, D. L.vo 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
[4]
Cass. Civ. sentenza numero 20509, del
30.09.2010, RV 614311: “l’obbligo
di mantenimento dei figli minori ex art. 148 c.c….va
inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e,
quindi, sussidiaria, rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel
senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per
il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento
dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli…”
[5]
Cass. Civ. sentenza numero 20509, del
30.09.2010 (RV 614311-01); Cass. Civ. sentenza numero 3402, del 23.03.1995 (RV
491369-01)
[6] Tra le altre, Cass. Civ.,
ordinanza 10419, del 02.05.2018, RV 648281.
[7]
Cass. Civ. ordinanza numero 10419, del
02.05.2018; Cass. Civ. sentenza numero 20509, del 30.09.2010;
Cass. Civ. sentenza numero 3402, del 23.03.1995