Il
diritto all’assegno di divorzio alla luce dell’impossibilità oggettiva del
coniuge richiedente di procurarsi i mezzi di sostentamento: tre pronunce di
legittimità e di merito
La
sentenza della Corte di Cassazione numero 4091, del 20.02.2018
In ambito di assegno divorzile, abbiamo assistito, nel corso dell’ultimo anno, al tramonto del criterio del ‘tenore di vita’ a favore di quello dell’’indipendenza economica’, i cui indici la Corte di Cassazione ha cristallizzato con la nota sentenza, numero 11504 del 10.05.2017, cui hanno fatto seguito svariate pronunzie di legittimità e di merito, oltre che proposte di legge e discussioni tra addetti ai lavori.
Quando però, allo stato, l’ex coniuge si può definire non economicamente autosufficiente ovvero, rectius, impossibilitato a raggiungere un’indipendenza economica, con ciò che ne consegue in punto di riconoscimento di assegno di divorzio?
Si ritiene interessante riportare degli esempi di casi concreti in cui questi indici sono stati ritenuti rilevanti al fine di confermare il diritto all’assegno divorzile a favore del coniuge più debole.
Quanto alle fattispecie che la giurisprudenza ha affrontato di recente nella materia che ci occupa, certamente assume interesse la pronuncia della Corte di Cassazione, numero 4091, del 29.05.2017, pubblicata in data 20.02.2018.
La questione sottesa alla sentenza di cui trattasi riguardava il diritto all’assegno di divorzio a favore di una donna ultrasessantenne che la Corte d’Appello territorialmente competente le aveva riconosciuto, tenuto conto che ella poteva lavorare in maniera unicamente saltuaria, anche per motivi di salute, e che, seppur beneficiando della pensione sociale, poteva raggiungere un reddito mensile, a dire della Corte di merito, inadeguato.
L’ex coniuge aveva impugnato la sentenza facendo leva, fra gli altri motivi, sulla asserita violazione e falsa applicazione dell’articolo 5 della Legge 898/1970, per non avere la Corte di merito valutato, a suo dire, le condizioni delle parti, con riferimento alla sua persona e a quella dell’ex coniuge e per non avere correttamente ponderato i mezzi di sussistenza dell’ex moglie e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, nonché la situazione reddituale della stessa.
La Corte di Cassazione ha anzitutto fatto riferimento al c.d. giudizio bifasico di cui alla nota e recente pronunzia 11504, del 10.05.2017, valutando l’an debeatur, ossia vagliando se la domanda dell’ex coniuge soddisfacesse le condizioni di legge (mancanza di mezzi adeguati ovvero impossibilità oggettiva di procurarseli), e ponderando le risultanze non con riguardo al “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio” ma con esclusivo riferimento all’”indipendenza economica” dell’ex coniuge, secondo gli indici stabiliti dalla Corte di legittimità.
La sentenza in esame sostiene che i Giudici di seconde cure abbiamo correttamente valutato come modeste le capacità economiche e reddituali dell’ex coniuge, tali da essere insufficienti a garantire alla donna un’esistenza libera e dignitosa.
Infatti, i Giudici di legittimità hanno sottolineato la correttezza dell’iter argomentativo della Corte territoriale (che si è attenuta “alla normativa vigente e pure alla giurisprudenza della Corte di legittimità e la sua motivazione non merita censura”), soprattutto ponendo l’accento sull’età della donna, ormai matura, considerato anche l’attuale mercato del lavoro, che offre effettivamente scarse possibilità di reperire un’occupazione stabile e duratura; in ragione di tali argomentazioni , gli Ermellini hanno evidenziato sussistere i presupposti per riconoscere l’assegno a favore della stessa.
In particolare, la Corte ha rilevato, sancendo la correttezza delle motivazioni della Corte d’Appello, come la donna, ultrasessantenne, svolgesse unicamente lavori saltuari potendo contare sul solo reddito certo rappresentato dalla pensione sociale e ciò per le ragioni oggettivamente ostative, non da ultimi i problemi di salute che la avevano afflitta, che si erano frapposti ad una diversa determinazione.
Ciò che è interessante sottolineare, soprattutto in un momento di confronto con la sentenza 11504/2017 e con la ‘scia' di giurisprudenza che ne è seguita, sono i cardini concreti che la Suprema Corte ha delineato, in seno al giudizio prognostico, per pervenire a definire lo stato di non autosufficienza economica e della impossibilità oggettiva di procurarsi i mezzi di sostentamento rinvenuti nella non più giovane età della donna, la mancata specializzazione professionale nonché le sue condizioni di salute.
Al di là del positivo giudizio sull’”autoresponsabilità” dei coniugi, alla luce del mutato significato culturale e sociale che assume il matrimonio oggigiorno, si ritiene doveroso altresì porre l’accento sulle frequenti situazioni che vedono protagonista un coniuge (soprattutto donne, all’esito di matrimoni di lunga durata) che ha rinunciato al proprio lavoro e alle relative ambizioni professionali, in virtù di un comune progetto famigliare, che vedeva nel marito il soggetto che si dedicava maggiormente ‘alla carriera’; il tutto tenuto anche conto dell’odierno mercato del lavoro.
E’ inoltre opportuna una riflessione, che scaturisce dalla lettura di questa pronuncia, come di tutte quelle che sono seguite ed in qualche modo ‘scaturite’ dalla nota sentenza numero 11504/2017, inerente la manifestazione della natura dell’assegno di divorzio, che si annida nella c.d. solidarietà post coniugale, traente a sua volta linfa dal disposto di cui all’articolo 2 della Costituzione, e della funzione dello stesso, appunto di assistenza e supporto nei confronti del coniuge economicamente più debole.
La
sentenza del Tribunale di Milano, numero 9868 del 20.09/03.10.2017
Nella medesima direzione della sentenza summenzionata e sulla scorta delle riflessioni or ora citate, pare interessante indicare la pronuncia del Tribunale di Milano, numero 9868, del 20.09.2017-03.10.2017.
Il Tribunale di Milano, in seno ad un giudizio di divorzio, ha confermato ad una donna lo stesso importo dell’assegno stabilito in sede di separazione, a dispetto delle richieste del marito (la cui capacità reddituale è stata valutata adeguata a sostenere l’esborso) che ne chiedeva la riduzione (pur non contestandone l’an debeatur) e della stessa, la quale avanzava una richiesta di aumento nella misura doppia rispetto a quello statuito in sede separativa.
In particolare, i Giudici milanesi hanno posto l’accento sulla circostanza che la donna si fosse, per un lasso di tempo pari a ventidue anni, dedicata ai figli e alla casa, profondendo le proprie energie psicofisiche nel consorzio famigliare, in virtù di un progetto di vita comune e condiviso con il consorte che, inevitabilmente, l’ha condotta ad accantonare le proprie ambizioni e competenze professionali che certamente, attesa l’età avanzata della medesima e il mutato mondo del lavoro, non possono essere sic et simpliciter ‘riattivabili’.
Ciò che accende l’interesse del lettore in tale pronunzia e che certamente merita un cenno, tra gli altri aspetti, è la riflessione in ordine alla differente natura e finalità che intercorre tra assegno di mantenimento e assegno di divorzio; si esprime come di seguito infatti il Tribunale di Milano: “…la determinazione dell’assegno di divorzio…è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi, poiché, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate le situazioni…l’assegno divorzile presupponendo lo scioglimento del vincolo, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione”.
Inoltre il Tribunale di Milano, riferendosi alla nota sentenza 11504 del 10.05.2017 e al tramonto del tenore di vita, procede alla valutazione dell’eventuale “adeguatezza dei mezzi” della resistente nella fattispecie in parola ovvero della “impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”.
Anzitutto, sul punto, i Giudici meneghini hanno accolto le osservazioni critiche in ordine al cardine del ‘tenore di vita’ già mosse dalla Suprema Corte e abbracciano gli indici declinati in sede di legittimità. In tema di possibilità effettive di procurarsi i mezzi di sostentamento, il Tribunale ricorda come esse debbano essere valutate in relazione “alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo” e, applicando i nuovi principi di diritto, sostiene sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’assegno di divorzio alla resistente.
Al
riguardo, il Tribunale ha osservato come la donna non avesse una fonte di
reddito propria, ad eccezione dell’introito rappresentato dal versamento
dell’ex marito, aggiungendo le seguenti argomentazioni, a suffragio del
riconoscimento dell’an debeatur:
- dalla nascita della secondogenita, circa vent’anni prima, la stessa non aveva più lavorato “per occuparsi dei figli e della famiglia con una scelta che è stata nei fatti condivisa dai coniugi”;
- la beneficiaria ha un’età che non le consente, “tenuto conto delle attuali condizioni del mercato del lavoro dal quale la signora è uscita da oltre vent’anni, di reperire un’occupazione”;
- ella non ha raggiunto l’età pensionabile;
-
ella non è titolare di cespiti immobiliari e
deve sostenere un onere abitativo comprensivo di “locazione e spese
condominiali”.
Tutto ciò conduce alla inevitabile conclusione che la beneficiaria non sia economicamente indipendente, soprattutto tenuto conto dell’impossibilità oggettiva di procurarsi un’occupazione (“in considerazione della mancanza di un reddito da lavoro certo e stabile su cui possa fare affidamento”).
Non ci si può esimere dall’evidenziare come quelli appena citati possano essere considerati principi da tenere presenti per verificare se e quando si ha (ancora) diritto all’assegno di divorzio, tenuto conto altresì della natura dello stesso come sopra delineata.
La
sentenza della Corte di Cassazione, numero 9945, del 13 marzo 2017
La sentenza in parola vede il ricorrente agire per la riforma della sentenza della Corte d’Appello territorialmente competente che, fra l’altro, aveva confermato quanto statuito dal Tribunale con riferimento al diritto dell’ex moglie dello stesso di godere di un assegno divorzile; asseriva il ricorrente la violazione delle norme in materia, considerata la breve durata del matrimonio oltre alle competenze professionali della donna, a dire dello stesso, mai veramente incanalate nella ricerca di un’attività lavorativa.
La Corte di Cassazione ritiene il motivo infondato, in considerazione della maggiore capacità reddituale del ricorrente e non solo: rilevano infatti i Giudici di legittimità che la beneficiaria si era dedicata al consorzio famigliare, in virtù di un progetto comune, in costanza di matrimonio e anche ciò aveva consentito al marito di svolgere un’attività professionale di “rilevante impegno”.
Del resto, prosegue la Suprema Corte, la summenzionata circostanza è anche ciò che impedisce, allo stato, alla controcorrente, ormai ultra cinquantenne, di reperire un’occupazione lavorativa stabile pur avendo un titolo di studio che, astrattamente, lo avrebbe consentito e lo consenta.
In altre parole, si ritiene che i Giudici di seconde cure abbiano correttamente posto l’accento, da una parte, sull’apporto di energie psicofisiche profuse nel consorzio familiare nell’arco del tempo, dall’altra, sulle potenzialità reddituali e professionali, che non hanno in astratto escluso, ma che sono state valutate e hanno condotto ad una riduzione dell’assegno di divorzio rispetto a quanto statuito dai coniugi in sede di separazione, ma che non sono state considerate tali da giustificare una rimozione dell’apporto a favore dell’ex coniuge.
Al riguardo, giova ricordare che il focus sul punto deve avere ad oggetto non solo l’astratta situazione reddituale del richiedente ovvero la situazione -notoria- del mercato del lavoro attuale, bensì una concreta ispezione di quelle che sono le effettive potenzialità lavorative e reddituali, oltre che patrimoniali, di chi vuole beneficiare dell’assegno di divorzio; questa disamina, del resto, dovrà essere svolta sulla scorta e con le lenti del concreto ambiente sociale e territoriale tipico del richiedente, in aggiunta, naturalmente, a quelli che sono i requisiti da questi posseduti (titoli di studio, certificazioni, esperienze passate, evoluzioni tecnologiche occorse nel tempo nel ramo di eventuale specializzazione) e del loro concerto valore all’oggi.
In conclusione, esperito questo elenco, certamente sommario e non esaustivo, della panoramica della giurisprudenza esistente sul punto, si ritiene che sia necessario, al di là di ogni possibile forma di generalizzazione, analizzare la singola situazione concreta, a mezzo di un’indagine ad ampio spettro, che coinvolga quelle che possono essere le ragioni ostative al raggiungimento di un’indipendenza economica prima di intraprendere azioni, da ambo le parti, dunque esemplificativamente, di aumento o di riduzione dell’assegno, che rimarrebbero apodittiche se non destinate a scontrarsi con un inevitabile esito sfavorevole.